Negli anni trenta e quaranta del secolo scorso furono numerosi gli autori che si cimentarono nell’elaborazione di testi teatrali da affidare all’arte, semplice e raffinata al tempo stesso, dei grandi attori comici di quel periodo. “La fortuna con l’effe maiuscola” nasce, in questo contesto, da una collaborazione “a quattro mani” tra Armando Curcio ed Eduardo De Filippo e si inserisce a pieno titolo in una tradizione scenica partenopea che si approssimava ad evolversi verso forme mature di teatro di portata universale, che, partendo da un’ambientazione un po’ folkloristica e localistica, si proponevano comunque di rappresentare l’essenza delle vicende umane: in questo teatro il napoletano è, infatti, il simbolo all’ennesima potenza di una condizione universale dell’essere, in cui la precarietà ed il senso del destino vengono bilanciati dall’ironia e dall’attaccamento talora morboso a credenze e superstizioni, uniche armi contro una storia secolare di incomprensibili soprusi. Il popolo napoletano, perciò, anche grazie alla sua estroversione ed alla sua propensione per la “teatralità”, più di tutti sembra abbracciare una vastità di casi umani – da quello fortunato a quello troppo spesso tragico ed infelice – decisamente rappresentativi delle condizioni e delle vicissitudini dell’intero genere umano. Allora il riferimento alla città di Napoli, osservata e studiata con attenzione nei suoi bassi, nei suoi vicoli, nelle strade e nelle piazze, nelle stanze dei poveri e dei ricchi, nell’infinita gamma dei suoi “personaggi”, è solo un punto di riferimento per “volare più alto” sulle traversie dell’intera umanità. Questa impronta tutta particolare di certa drammaturgia dell’epoca è già ben presente in opere, come “La fortuna con l’effe maiuscola”, che, dietro l’apparente banalità dell’intreccio, svelano un’osservazione attenta della realtà e dei suoi risvolti comici e paradossali, arricchita da un profondo senso di comprensione e di solidarietà per le alterne sorti di personaggi sempre alla ricerca di un riscatto, di un evento straordinario che ne possa capovolgere in maniera radicale e positiva l’esistenza. La miseria che si trasforma in ricchezza, il colpo di fortuna “con la effe maiuscola” in grado di superare colpi di fortuna di più limitata e modesta portata, il sogno di rivendicare un’atavica situazione di inferiorità sono gli impulsi che muovono la storia di Giovanni Ruoppolo, della sua famiglia, del suo vicinato, tutti partecipi delle molteplici emozioni che scaturiscono dalla trama della commedia, ricca di “tipi” umani con le loro debolezze e le loro illusioni, i loro tic ed i loro grandi e piccoli affanni quotidiani, la loro innata autoironia, la loro “miseria” e la loro “nobiltà”. Ne scaturisce una trama con marcate caratteristiche di comicità, ma con una vena di fondo triste e malinconica, che si percepisce appena, come un contrappunto inteso a sottolineare il profondo senso di umanità che permea la vicenda dei suoi protagonisti.