“Ditegli sempre di sì”, scritta nel 1927 e più volte rimaneggiata fino agli anni ’60, è commedia il cui impianto ricorda molto le opere di Eduardo Scarpetta, padre del più celebre Eduardo. Ma se, nel famoso “Il medico dei pazzi”, Scarpetta descrive persone più o meno normali che vengono scambiate per folli, qui la situazione si rovescia e un vero pazzo viene considerato fino alla fine una persona normale, non senza aver messo in subbuglio le vite dei vari personaggi. Ma, a parte questa inversione, “Ditegli sempre di sì” va al di là della vicenda comica che vi è narrata, perché Michele, il protagonista, in fondo sembra voler scardinare, con una metodologia lucida da pazzo, tutte le ipocrisie della gente che lo circonda, basate soprattutto sulla convenzione del linguaggio. Michele infatti ha la fissazione del corretto e letterale uso della parola, per lui non possono esistere mezzi termini, metafore o condizionali ipotetici, la parola significa esattamente quello che vuole dire (“C’è la parola adatta, perché non la dobbiamo usare”?); in tal modo, applicando alla lettera il linguaggio, cerca ossessivamente di dialogare con gli altri secondo il proprio codice linguistico, di coltivare il ragionamento ad ogni costo ed in questa sua ostinazione trova in Luigi Strada (l’artista da stra-pazzo) il suo alter ego ideale, quasi l’ostacolo da superare per diventare normale. È proprio a contatto con il giovane che si accende con particolare veemenza la sua mania, in quanto il sedicente “attore” gioca spudoratamente con le parole e questo fa saltare completamente il precario equilibrio mentale di Michele. Proprio mentre lui sta per riprendere contatto con la realtà, arriva questo sovvertitore, questo confusionario che manda all’aria i suoi quattro puntelli. Ed è per tale motivo che il protagonista, di fronte allo stravagante esibizionismo e narcisismo di Luigi, opera una sorta di transfert nei suoi confronti, rivede se stesso nell’antagonista e tenta di fargli ciò che forse vorrebbe fare a se stesso, ossia eliminare alla radice la pazzia. Ed in fondo, ai suoi occhi, anche gli altri personaggi della commedia appaiono, per molti versi, bizzarri, strani e per lui incomprensibili come dei veri matti. Alla fine Michele deve giocoforza arrendersi e cedere ed è in quel momento che, dopo aver a lungo divertito lo spettatore, ritorna docilmente al suo destino, ispirando solo una più che comprensibile umana compassione.